Naumachos
2010-04-10 19:31:19 UTC
Ieri era il 40ennale della tragedia,il ricordo è ancora vivo in tutti
i genovesi,anche in quelli che non erano ancora nati e ne hanno solo
sentito parlare.
Pare che le cause del naufragio siano da attribuire a motivi
diversi,ma ormai il sentimento corale è di profondo rispetto per tutti
coloro che si batterono fino allo stremo contro la natura avversa nel
compimento del proprio dovere.
Uno sopra tutti,il Capitano Errico,figura indimenticabile,chi conosce
gli avvenimenti sà di cosa parlo.
Io avevo 13 anni e rimasi estremamente impressionato dalle foto e
dalla mareggiata,tanto da portarne con mè il ricordo attraverso tutti
questi anni.
9 Aprile 1970, Naufragio della “London Valour”
9 aprile 1970, nuvole basse, vento forte di libeccio sul golfo di
Genova. All’ancora, al di là della diga Duca di Galliera, c’è la turbo
nave “ London Valour” grosso mercantile inglese della “London and
Overseas Freighters” di 15,875 tonn. di stazza, carica di 24.000
tonnellate di minerale di ferro. A bordo 58 persone. 17 inglesi, 39
indiani, 2 donne mogli del comandante e del marconista.
Dalla Capitaneria avvisi continui alle navi per controllare gli
ormeggi.
Il bollettino meteo alle 13:30 segnala vento da SW 10 nodi, alle 13:40
raffiche da SW 28 nodi (forza 7), alle 14:30 raffiche da SW 45 nodi
(forza 9).
Delle cinque navi in rada, quattro prendono il largo. Alla torretta
dei piloti il dubbio che la “London Valour” stia scarrocciando diventa
certezza. Ha solo l’ancora di sinistra che ara il fondo, senza presa.
La distanza dalla diga cala a vista d’occhio. Alle 14:25 si ode il
“MAY DAY” e scatta l’allarme generale.
La nave non è riuscita ad avviare la macchina.
In città il libeccio sradica alberi, scoperchia case, rovescia
autoveicoli.
D’ordine della Capitaneria di porto tutto quello che galleggia e che
abbia un motore prende il mare. E’ una sfida impari ma i natanti della
Capitaneria, della Guardia di Finanza, dei Piloti, dei Rimorchiatori e
degli ormeggiatori intervengono senza alcuna esitazione.
Gli imbarcati sulla pilotina “ TETI”, tra cui il pilota Aldo BAFFO una
tra le prime a mollare gli ormeggi, assistono impotenti allo schianto
della nave inglese contro la diga e spezzarsi in due tronconi. Il
dramma si delinea in tutta la sua gravità.
Dal mare la “Teti”, il rimorchiatore “Forte” e la “CP 233” al comando
del capitano Giuseppe TELMON cercano di avvicinarsi il più possibile
alla nave per soccorrere i naufraghi rimasti sulla parte prodiera.
Dalla Diga invece viene approntato con un cavo il c.d. “va e vieni”
una sorta di rudimentale teleferica per trasferire, uno alla volta, i
naufraghi rimasti a bordo. Al quarto trasferimento quando tocca alla
moglie del comandante il sistema collassa e la donna precipita in
mare. Inutile il tentativo di salvataggio di Giuliano MACCHI, un
vigile del fuoco, che si lancia coraggiosamente a rischio della
propria vita.
Alle ore 16:00 le lamiere della fiancata destra della nave cedono per
gli urti violenti contro la diga e parimenti si squarciano i doppi
fondi adibiti a deposito della nafta. Una gran quantità di sostanze
oleose e catramose si riversano in acqua. Al mare e al vento che non
danno tregua si aggiunge quella sostanza viscida che rende
problematico afferrare le persone in acqua e trarle a bordo. Anche dal
cielo si tenta l’impossibile con il piccolissimo e fragile elicottero
dei Vigili del Fuoco. Il pilota, il capitano Enrico, dopo molti
tentativi, a causa del forte vento, riesce a recuperare un marinaio
ancora a bordo e portarlo a terra. Ci riprova, rischiando ogni volta,
ma raffiche violente lo respingono lontano dalla nave. Destino fatale
ha voluto che anni dopo il capitano Enrico morirà tragicamente
precipitando in mare con il suo elicottero durante un’operazione di
soccorso. Dalle alture di Genova, grandi folle assistono al dramma in
diretta.
E’ la CP 233 quella più vicina al relitto. Il capitano Telmon
insignito poi di medaglia d’oro al valor Marina e i suoi ragazzi
instancabili nell’opera di soccorso, salveranno 26 persone
dell’equipaggio. Si recuperano dal mare anche alcuni cadaveri, tra cui
quello del comandante della London Valour trascinato in mare da
un’ondata.
L’opera di soccorso è corale. Un gruppo di marinai e di dipendenti dei
cantieri lanciano cime ai naufraghi più vicini. Decine di ambulanze
fanno la spola con l’Ospedale San Martino. Tra i feriti anche sette
lavoratori portuali e un vigile del fuoco. Si fa buio e alla luce
delle fotoelettriche continuano le operazioni di salvataggio. Nessuno
molla. Si ripristina la “va e vieni” ma i nove naufraghi rimasti sulla
prora del relitto si rifiutano di calarsi.
Una decina di sommozzatori dei Vigili del Fuoco raggiungono i
superstiti e ciascuno di loro, quasi a forza, prende in braccio gli
ultimi naufraghi e si tuffano in mare. Tutti in salvo. Sono le 19:30
Il bilancio finale risulta tremendo. I morti sono 19. il Comandante
MUIR e la moglie, il marconista HILL e la moglie, il primo ufficiale
Kitchener, il secondo ufficiale Merlac, il primo macchinista Carey e
tanti marinai indiani.Trentanove i superstiti. Quelli che più tardi
saranno definiti “una banda di eroi” aveva salvato ¾ dell’equipaggio
inglese.
Qualche mese dopo il direttore di macchina della “London Valour”
Arthur Carey nel corso di una commovente cerimonia dona la ruota in
legno del timone della nave all’Ospedale San Martino, la campana alla
Chiesa Anglicana Genovese e la bandiera alla Capitaneria di Porto di
Genova come segno di riconoscenza dei sopravvissuti per il coraggio e
l’eroismo di tutti coloro che contribuirono alla loro salvezza.
i genovesi,anche in quelli che non erano ancora nati e ne hanno solo
sentito parlare.
Pare che le cause del naufragio siano da attribuire a motivi
diversi,ma ormai il sentimento corale è di profondo rispetto per tutti
coloro che si batterono fino allo stremo contro la natura avversa nel
compimento del proprio dovere.
Uno sopra tutti,il Capitano Errico,figura indimenticabile,chi conosce
gli avvenimenti sà di cosa parlo.
Io avevo 13 anni e rimasi estremamente impressionato dalle foto e
dalla mareggiata,tanto da portarne con mè il ricordo attraverso tutti
questi anni.
9 Aprile 1970, Naufragio della “London Valour”
9 aprile 1970, nuvole basse, vento forte di libeccio sul golfo di
Genova. All’ancora, al di là della diga Duca di Galliera, c’è la turbo
nave “ London Valour” grosso mercantile inglese della “London and
Overseas Freighters” di 15,875 tonn. di stazza, carica di 24.000
tonnellate di minerale di ferro. A bordo 58 persone. 17 inglesi, 39
indiani, 2 donne mogli del comandante e del marconista.
Dalla Capitaneria avvisi continui alle navi per controllare gli
ormeggi.
Il bollettino meteo alle 13:30 segnala vento da SW 10 nodi, alle 13:40
raffiche da SW 28 nodi (forza 7), alle 14:30 raffiche da SW 45 nodi
(forza 9).
Delle cinque navi in rada, quattro prendono il largo. Alla torretta
dei piloti il dubbio che la “London Valour” stia scarrocciando diventa
certezza. Ha solo l’ancora di sinistra che ara il fondo, senza presa.
La distanza dalla diga cala a vista d’occhio. Alle 14:25 si ode il
“MAY DAY” e scatta l’allarme generale.
La nave non è riuscita ad avviare la macchina.
In città il libeccio sradica alberi, scoperchia case, rovescia
autoveicoli.
D’ordine della Capitaneria di porto tutto quello che galleggia e che
abbia un motore prende il mare. E’ una sfida impari ma i natanti della
Capitaneria, della Guardia di Finanza, dei Piloti, dei Rimorchiatori e
degli ormeggiatori intervengono senza alcuna esitazione.
Gli imbarcati sulla pilotina “ TETI”, tra cui il pilota Aldo BAFFO una
tra le prime a mollare gli ormeggi, assistono impotenti allo schianto
della nave inglese contro la diga e spezzarsi in due tronconi. Il
dramma si delinea in tutta la sua gravità.
Dal mare la “Teti”, il rimorchiatore “Forte” e la “CP 233” al comando
del capitano Giuseppe TELMON cercano di avvicinarsi il più possibile
alla nave per soccorrere i naufraghi rimasti sulla parte prodiera.
Dalla Diga invece viene approntato con un cavo il c.d. “va e vieni”
una sorta di rudimentale teleferica per trasferire, uno alla volta, i
naufraghi rimasti a bordo. Al quarto trasferimento quando tocca alla
moglie del comandante il sistema collassa e la donna precipita in
mare. Inutile il tentativo di salvataggio di Giuliano MACCHI, un
vigile del fuoco, che si lancia coraggiosamente a rischio della
propria vita.
Alle ore 16:00 le lamiere della fiancata destra della nave cedono per
gli urti violenti contro la diga e parimenti si squarciano i doppi
fondi adibiti a deposito della nafta. Una gran quantità di sostanze
oleose e catramose si riversano in acqua. Al mare e al vento che non
danno tregua si aggiunge quella sostanza viscida che rende
problematico afferrare le persone in acqua e trarle a bordo. Anche dal
cielo si tenta l’impossibile con il piccolissimo e fragile elicottero
dei Vigili del Fuoco. Il pilota, il capitano Enrico, dopo molti
tentativi, a causa del forte vento, riesce a recuperare un marinaio
ancora a bordo e portarlo a terra. Ci riprova, rischiando ogni volta,
ma raffiche violente lo respingono lontano dalla nave. Destino fatale
ha voluto che anni dopo il capitano Enrico morirà tragicamente
precipitando in mare con il suo elicottero durante un’operazione di
soccorso. Dalle alture di Genova, grandi folle assistono al dramma in
diretta.
E’ la CP 233 quella più vicina al relitto. Il capitano Telmon
insignito poi di medaglia d’oro al valor Marina e i suoi ragazzi
instancabili nell’opera di soccorso, salveranno 26 persone
dell’equipaggio. Si recuperano dal mare anche alcuni cadaveri, tra cui
quello del comandante della London Valour trascinato in mare da
un’ondata.
L’opera di soccorso è corale. Un gruppo di marinai e di dipendenti dei
cantieri lanciano cime ai naufraghi più vicini. Decine di ambulanze
fanno la spola con l’Ospedale San Martino. Tra i feriti anche sette
lavoratori portuali e un vigile del fuoco. Si fa buio e alla luce
delle fotoelettriche continuano le operazioni di salvataggio. Nessuno
molla. Si ripristina la “va e vieni” ma i nove naufraghi rimasti sulla
prora del relitto si rifiutano di calarsi.
Una decina di sommozzatori dei Vigili del Fuoco raggiungono i
superstiti e ciascuno di loro, quasi a forza, prende in braccio gli
ultimi naufraghi e si tuffano in mare. Tutti in salvo. Sono le 19:30
Il bilancio finale risulta tremendo. I morti sono 19. il Comandante
MUIR e la moglie, il marconista HILL e la moglie, il primo ufficiale
Kitchener, il secondo ufficiale Merlac, il primo macchinista Carey e
tanti marinai indiani.Trentanove i superstiti. Quelli che più tardi
saranno definiti “una banda di eroi” aveva salvato ¾ dell’equipaggio
inglese.
Qualche mese dopo il direttore di macchina della “London Valour”
Arthur Carey nel corso di una commovente cerimonia dona la ruota in
legno del timone della nave all’Ospedale San Martino, la campana alla
Chiesa Anglicana Genovese e la bandiera alla Capitaneria di Porto di
Genova come segno di riconoscenza dei sopravvissuti per il coraggio e
l’eroismo di tutti coloro che contribuirono alla loro salvezza.